Hill tribes: i popoli della montagna dell’estremo oriente
Tra le centinaia di tribù diffuse su tutta la Terra, e presenti anche sul pianeta Web, ve ne sono alcune che abitano le regioni montuose dell’Indocina. Sono le hill tribes, i “Popoli della montagna”.
Le tracce lasciate nella storia da queste minoranze etniche sono difficili da seguire tanto quanto i sentieri inerpicati sulle rocce che conducono ai loro villaggi.
Le hill tribes provengono dalle regioni dell’estrema Cina meridionale, in particolare Tibet e Yunnan. In seguito alle ondate migratorie degli ultimi due secoli si sono insediate nella parte centrale del quadrilatero del Mekong, un’area estesa tra i territori montuosi di Myanmar, Nord Tailandia, Laos e Vietnam del Nord. Complessivamente le hill tribes non raggiungono il mezzo milione di persone (un quartiere di Roma, per intenderci) e vivono disperse tra le montagne, ragion per cui i Thai (etnia di maggioranza tailandese) le chiamano “chao khao” cioè “Popoli della montagna”. Questi gruppi etnici hanno una suddivisione interna molto complessa, che conta sei tribù principali - Akha, Hmong, Karen, Lahu, Mien, Lisu - ognuna con una lingua propria, usi e costumi peculiari. A sua volta, ogni etnia si divide in sottogruppi in base a genere, famiglia, rango ed età.
Gli Akha, chiamati anche ko o iko, sono un gruppo etnico originario del Tibet e della regione dello Yunnan, a sud-est della Cina.
I Red Dao del Vietnam del Nord, seppure non annoverati tra le sei etnie, sono un popolo di grande interesse. Stanziati nella zona di Sapa fin dal XVIII secolo, anche di loro si sa poco. Parlano la stessa lingua dei vicini Hmong, scrivono usando i caratteri cinesi e mischiano nella loro religione elementi del culto Taoista, del Buddismo e del Confucianesimo. Una chiara prova del multiculturalismo fondante questi popoli, i quali tuttavia si determinano come etnie ben definite, perfino chiuse rispetto alle loro simili.
I Hmong sono un’etnia rilevante in Cina, tanto da essere annoverata tra i cinquantasei gruppi etnici riconosciuti dal governo e classificati in base al colore degli abiti femminili.
Vuoi saperne di più sull'etnia Hmong? Leggi il nostro articolo:
I tailandesi Karen ammontano a poche migliaia di persone stanziate soprattutto in Myanmar, dove vivono da secoli, tanto che il loro luogo di provenienza è avvolto nel mistero. Anche per i Karen i vestiti femminili sono un carattere peculiare, tradizione vuole che le donne indossino una lunga tonaca che dal bianco delle bambine arriva alle fogge multicolori delle donne anziane, passando per il rosso di quelle appena sposate; tutte indossano bracciali e collane che incorniciano il volto. Negli ultimi decenni, alcune migliaia di persone appartenenti alla tribù dei Karen si sono rifugiate oltre il confine tailandese per sfuggire alla persecuzione del regime birmano e alla povertà. Lo status di rifugiati non è stato concesso a tutti, pertanto in molti sono considerati semplici immigrati illegali e sono stati confinati in impervie zone montane, spesso costretti all’interno di villaggi-lager, senza godere di alcun diritto politico in Tailandia e senza la possibilità di cercare miglior fortuna altrove.
Tra i sottogruppi più famosi dell'etnia Karen ci sono i Kayan o Padaung, ai quali appartengono le donne dai colli lunghi, anche dette donne giraffa. A partire dall’età di cinque anni, alle donne vengono applicati al collo degli anelli metallici di dimensioni e peso via via maggiori fino a raggiungere in età adulta circa 20 chili di peso. Contrariamente a quello che si pensa, questo sistema non allunga il collo ma crea l’illusione ottica della sua maggiore lunghezza. Le origini di questa tradizione non sono ben note, alcuni affermano che fosse un sistema per proteggerle dagli attacchi delle tigri, altri che si trattava di uno stratagemma per renderle meno attraenti agli occhi dei commercianti di schiavi. Qualunque fosse la ragione, questo costume è entrato a far parte della loro cultura ed è un simbolo di bellezza intorno al quale si costruisce la loro identità. Inoltre, questa tradizione ha reso le donne giraffa famose a tal punto da farle divenire la più controversa attrazione della zona.
Una folta schiera di persone ha così creato un notevole giro di affari sfruttando la loro immagine e i loro prodotti, costringendole spesso nei cosiddetti villaggi etnici, dove il turista paga per entrare, fare foto e acquisti. Molte organizzazioni internazionali e locali li considerano una sorta di zoo umani nei quali il lavoro e l’immagine di queste donne vengono sfruttati senza che vengano riconosciuti loro i più elementari diritti. Altre li considerano un mezzo per garantire loro una forma di sussistenza in un contesto molto difficile, con il vantaggio di poter mantenere in vita le proprie tradizioni. Senza entrare nel merito della discussione ci preme ricordare che, quando visitiamo culture lontane e spesso molto vulnerabili, è il modo in cui ci approcciamo che fa la differenza. Ricordandoci della persona che c’è dietro al vestito e trattandola come tale, cercando di entrare in relazione con essa e facendo sì che ottenga la giusta ricompensa per il proprio lavoro, avremo maggiori probabilità che la nostra visita sia di effettivo beneficio, riceveremo un’accoglienza più calorosa e potremo instaurare quello scambio che dovrebbe essere il principio guida di ogni nostro viaggio.
Sul pianeta Web molti parlano delle hill tribes: Wikipedia, cataloghi di viaggio, social network, associazioni umanitarie e religiose, siti di moda, cucina e cultura. Ma il nostro racconto vuole provare a essere diverso e a narrare una storia reale, quella degli Akha del Laos.
Vuoi saperne di più sugli Akha del Laos? Leggi il nostro articolo:
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