Laos: riti, pratiche comunitarie e usanze millenarie degli Akha
Nell’articolo Trekking tra i villaggi di etnia Akha: viaggio in Laos nella provincia di Phongsali, Riccardo, il nostro viaggiatore-antropologo, ci conduce tra le montagne a nord del Laos e ci presenta donne e uomini Akha così come vivono oggi.
A integrazione delle sue parole possiamo aggiungere alcuni approfondimenti. Gli Akha sono una delle principali hill tribes dell’Estremo Oriente, etnia che conta quasi due milioni e mezzo di persone divise in tribù e stanziate tra il sud-est della Cina, la zona orientale della Malesia e i territori montuosi a nord della Tailandia, del Vietnam e del Laos.
In particolare, gli Akha laotiani fanno parte del gruppo dei lao sung e abitano il paese da circa due secoli, in seguito alle migrazioni forzate da guerre e povertà. Sono più di sessantacinquemila persone divise in sottogruppi dai nomi impronunciabili (Chichor, Pouly, Pana, Fe, Ooma, Nukui, Luna, Eupa, Chipia, Mochi, Yaeu, Kher, Mutern, Mamouang, Poukuang, Pilou, Pisor, Pousang, Kongsaad) e per comodità ci riferiremo a loro usando il nome ufficiale di Akha. Sono tutte insediate nelle zone di montagna, parlano una lingua della famiglia sinotibetana e non hanno una tradizione scritta, fatto che rende ancora più misteriosa la loro cultura. Il modo migliore per conoscere gli Akha è comprenderne le azioni, spesso dettate più da usanze millenarie che da bisogni reali e perciò apparentemente bizzarre.
La cerimonia dell’uovo e la fondazione del villaggio
Per tutti i popoli, specie quelli a carattere tradizionale, il rituale di fondazione è una pratica che avrà ripercussioni per generazioni, pertanto è fondamentale seguirne le regole. Al momento di costruire un nuovo villaggio, lo sciamano del gruppo Akha pone un uovo all’interno di una piccola buca scavata di fresco. Se si rompe, significa che gli spiriti concordano con la scelta del sito e lo sciamano costruirà la propria capanna nel punto esatto dov’è stato deposto l’uovo. Il destino di circa cinquanta abitazioni con i rispettivi inquilini deve la propria sorte a questo rito. In base al contesto ambientale, possono essere palafitte o avere come pavimento la terra, in ogni caso vengono costruite prevalentemente con bambù, rami e fogliame, senza finestre e con due porte di accesso. Al loro interno un solo muro divide l’area in due stanze, una per gli uomini e l’altra per le donne.
Spiriti buoni e spiriti malvagi: la Via degli Akha tra tradizione orale e tabù
Come molte etnie tradizionali, anche gli Akha fondano la propria cultura su una storia trasmessa oralmente di generazione in generazione. Questo tipo di tradizione orale si struttura nei secoli attraverso esperienze di vita reali, tramandate come miti fondanti la comunità. È la “Via degli Akha” o Akhazang, quella cioè derivata dagli antenati che proteggono le famiglie, le case e i villaggi sotto forma di spiriti buoni. Sono invece malvagi gli spiriti della foresta, degli alberi, dei fiumi e delle altre entità naturali; essi sono la causa di tutti i mali della comunità e delle sventure degli individui. Perciò, tutti questi esseri sovraumani devono essere ringraziati e propiziati attraverso rituali specifici e il rispetto di alcuni tabù. Ad esempio, la proibizione temporanea di mangiare o svolgere certe attività abituali durante il periodo sacro del Kalum.
Eventi significativi e rituali propiziatori
Nelle società a carattere tradizionale il singolo acquisisce la propria identità in relazione al gruppo, perciò nella vita di un individuo Akha eventi come la nascita, il passaggio dalla pubertà all’età adulta, il matrimonio, il parto e la morte, devono essere accompagnati da riti e pratiche comunitarie.
Il momento del parto
È tutelato da rituali propiziatori, tanto che la puerpera deve rimanere vicino a un fuoco acceso per molto tempo dopo il parto e soltanto la suocera può starle vicino. Dopo questa cerimonia, detta Yukham, vengono sacrificati ai numi tutelari due polli.
Le cerimonie funebri
Per far sì che l’anima di un defunto si trasformi in uno spirito antenato che custodisca le generazioni a venire, il corpo viene lavato accuratamente e gli vengono messi pezzi di argento in bocca. I riti e i canti funebri proseguono per due giorni prima di riporre il corpo in una preziosa bara intarsiata che viene seppellita e vegliata solo il giorno dopo il funerale dai parenti, i quali non vi faranno più ritorno. Dopo un anno dalla cerimonia funebre, l’anima del defunto viene evocata per diventare uno spirito antenato custode della casa e della famiglia.
La divisione di genere: le donne Akha custodi della tradizione
Nella società Akha uomini e donne ricoprono ruoli specifici, funzionali alla preservazione della tribù e al suo sviluppo. Gli Akha sono un popolo patrilineare (o agnatico) e patrilocale, ciò significa che la discendenza passa di padre in figlio maschio e che una coppia appena sposata si stabilisce a vivere nei pressi della famiglia del marito. Il principio di discendenza è molto importante in quanto ad esso sono legati anche il nome della famiglia, l’appartenenza a un lignaggio o un clan, il rango, la residenza, l’accesso degli individui alle risorse, la trasmissione di beni, e numerosi altri diritti e doveri trasmessi da una generazione all’altra. Più di trentamila donne Akha rivestono un ruolo centrale nella società come custodi della tradizione: lavorano i campi, preparano i medicinali con le erbe mediche e praticano i tradizionali massaggi. Sono le donne, dunque, a preservare il folklore, gli usi e i costumi più antichi degli Akha. Questo ruolo di custodi è ben evidente anche nel loro modo di vestire, che ricalca quello delle antenate, mentre gli uomini indossano perlopiù abiti occidentali di seconda mano.
Gli abiti delle donne Akha hanno fogge e colori appariscenti
Un tratto unico sono i copricapo realizzati con cerchi di bambù ricoperti di paglia, intarsiati con palline e monete d’argento e con strisce di stoffa colorate. Oltre alla testa, anche il collo viene decorato fin da giovanissime con enormi collane di cerchi concentrici che conferiscono alle donne Akha il caratteristico aspetto dal collo allungato. Il resto degli abiti ha colori sgargianti, eccetto le gonne corte di solito nere o blu, indossate sopra calze coprenti e sotto giacche strette e avvitate.
Dall’agricoltura “taglia e brucia” alla coltivazione dell’oppio
Gli Akha non sono un popolo molto dedito alla caccia. Per sopravvivere in questi territori impervi e poco fertili, gli Akha si autosostentano attraverso un tipo di agricoltura detto “taglia e brucia”. Si tratta di un metodo di coltivazione che sfrutta il suolo per tre o quattro cicli prima di abbandonarlo e ricava i nuovi terreni bruciando la foresta. Riso, mais e cotone sono i prodotti principali, a fianco di pochi vegetali, qualche spezia e foglie di tè. La coltivazione più nota è quella dell’oppio, da cui sono nate battaglie politiche internazionali.
BIBLIOGRAFIA
1. Akha, Chiangmai, 1992 (Monografia - Testo a stampa - Roma)
2. Akha: gli uomini della montagna Milano: Cinehollywood, 1991 (Monografia - Documento da proiettare o video)
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4. Goodman, Jim The Akha: Guardians of the forest/Jim Goodman Bangkok: Amarin Printing and Publishing Public Company Limited, 1997 (Monografia - Testo a stampa - Roma)
5. The Akha Journal of the Golden Triangle; *Akha Baw Dzah Urh Ah Boh/Akha National Congress Salem [OR]; Maesai, Chiangrai [TH]: The Akha Heritage Foundation, 2003 (Monografia - Testo a stampa - Roma)
6. Grunfeld, Frederic V. Wayfarers of The Thai Forest: The Akha / Frederic V. Grunfeld; Photographs by Michael Freeman Amsterdam: Time-Life Books, 1982. 168 p.: ill.; 28 cm. (Monografia - Testo a stampa)
7. Sturgeon, Janet C., Border landscapes: the politics of Akha land use in China and Thailand / Janet C. Sturgeon Seattle; London: University of Washington press, 2005 (Monografia - Testo a stampa - Roma)
8. Video The Akha: Children of the Golden Triangle
9. Sito di interesse su usi e costumi: cose da fare e da non fare nei villaggi Akha
10. Associazione di tutela donne Akha: The Akha Women’s Foundation
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